"Champagne for my real friends. Real pain for my sham friends" (used as early as 1860 in the book The Perfect Gentleman. Famously used by painter Francis Bacon)



martedì 30 aprile 2013

BILLIE RAY MARTIN


BILLIE RAY MARTIN
 
Billie Ray Martin mi ha brutalmente criticato: le avevo scritto un messaggio di posta elettronica senza la dovuta etichetta: aveva ragione: anche io ero caduto in un eccesso di immediatezza che avrei certamente evitato scrivendo una lettera secondo i canoni tradizionali ([1]).
 
Billie Ray Martin è la dimostrazione che avere molto talento non serve per avere successo, anzi può risultare deleterio.
Sto scrivendo di una grande artista, una cantante con una voce che colpì – quando lei fronteggiava la Electribe 101 ([2]) – Siouxsie Sioux e Budgie.
 
Certo se avessero creduto di più nella Tribù Elettrica Centouno coloro che li posero sotto contratto...: al tempo, quando si cercava di uccidere il vinile ([3]), acquistai la versione negletta e deperibile, nera e ingombrante (12 pollici) del loro unico album, Electribal Memories, perché quella in formato CD con tracce in più a Milano giunse in qualche (due, tre?) copie.
Molto vinile lo accumulai ex post ([4]):
 
Poi questa sirena dai natali incerti nel luogo (Germania, probabilmente Hamburg) e nel tempo (ma a una Signora non si chiede mai la data di nascita, mai) cominciò una carriera solista tortuosa con qualche EP, l’album Deadline For My Memories e i “suoi” singoli.
Prima uscite indipendenti, anche un paio non autorizzate dall’artista, e quindi solo autoproduzione o quasi, come testimonia il suo sito internet ufficiale.
 
Billie Ray Martin rimane, dunque, una artista di culto senza certo volerlo ad ogni costo, roba da dancefloor slavati dalla stanchezza e cerchiati dalle occhiaie di coloro che ancora li calcano a tardissima ora.
L’opposto della discoteca del disimpegno ([5]).
 
Difficile aggiungere altro senza diventare personale e quindi noioso, oppure semplicemente essere una discografia.
 
Se potete, cercate anche il DVD con i suoi promo clip, e ivi fustigatevi con “Imitation Of Life”: dove il playback soccombe alla voce, ma le immagini smantellano ogni residua resistenza scettica.
 
 
                                                                                                                      Steg
 
 
 
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[1] Non è sempre buono il progresso, soprattutto nei media.
[2] Electribe è il nome di una “linea” di strumenti della nipponica Korg, Inc. (Kabushiki-gaisha Korugu): sintetizzatori e drum machine.
[3] Altro che Record Store Day, allora!
[4] I 12” avevano delle versioni monumentali rispetto a quella “originale”.
Rammento una record fair all’Electric Ballroom di Londra (quando a Camden Town la prima lingua non era l’Italiano): trovai un raro mix della Electribe 101, il numero 1 di i-D, un clamoroso CD non ufficiale dei Soft Cell e, se non ricordo male, anche una copia di Anarchy in the UK (la fanzine): il tutto per qualche decina di sterline.
[5] Soliti gli esempi: dal Northern Soul alle gay disco del popolo Bowie (e Bowie stesso?) che arrivò al punk: dico Marc Almond e “John, I’m Only Dancing”.

domenica 28 aprile 2013

AYRTON SENNA: UN ASSO


AYRTON SENNA: UN ASSO ([1])

 

Pilade Del Buono, che ogni anno scrive un necrologio commemorativo per la morte di Gianni Brera, chiese a mio padre se il necrologio per Ayrton Senna fosse mio (cioè quello con il mio cognome).
Se si muore di domenica, difficilmente il Corriere della Sera pubblicherà il giorno successivo. Cosi accadde anche per il mio necrologio: redatto il lunedì mattina nell’ufficio-inserzioni del quotidiano milanese di Via San Pietro all’orto, uscito il giorno dopo.

 

La casa vuota come se avessi appena traslocato, in realtà una scelta mia.
Seduto su quella poltrona da scrivania un poco sfondata ma comoda e con cuoio vero a rivestirla, passo le ore del pomeriggio di domenica davanti al televisore, poi è l’ora dell’aperitivo e ancora la notizia della morte non è confermata formalmente: decido di indossare la maglietta con la doppia S sgommata che celebra le sue 50 pole position ([2]) e sto seduto a un tavolino all’aperto del Bar Basso a Milano, come se quasi nulla ci fosse intorno.
Cena.
Ancora davanti al televisore. Finalmente alla mezzanotte passata riesco a piangere.

 

Chissà come mai: quest’anno saranno 19 anni dalla morte dell’asso brasiliano, usai campionissimo nel necrologio (come Fausto Coppi), eppure sembra che vogliano farli sembrare 20.

 

E pensare che era partito cosi bene dal palo di quel nastro d’asfalto, che sembrava falso come il nome del Gran Premio che ivi si correva.
Anche per questo risulta ancora più grottesca la sua morte: il Mago della pioggia, il Re di Montecarlo, finisce i suoi giorni nella trista Imola in un caldo pomeriggio che sembra solamente banale.

 

Gli assi sono innovativi, e così Ayrton Senna che percorreva il tracciato a piedi alla vigilia di un Gran Premio dimostrava un’attenzione fuori dal comune.

 

Molti assi lasciano fra le ultime loro immagini quella del casco indossato come un elmo, per poi finire in una nuvola, in una dimensione comunque aerea che nessuno può penetrare.

 

Mentre il dimenticato dai molti Alain Prost, e il fuoriclasse “solo per aver superato il record di Juan Manuel Fangio” Michael Schumacher in qualche modo beneficiarono della tragica luce riflessa data dal fatto che Senna morì in quella stupida e modesta pista il 1° maggio 1994.

 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

POST SCRIPTUM

Sono quasi trascorsi 20 anni, da quel giorno e un anno esatto (era il 28 aprile 2013) dalle righe qui sopra.
Io non posso aggiungere niente.

Per chi vuole “qualcosa di diverso” rimando a Giorgio Terruzzi, Suite 200. L’ultima notte di Ayrton Senna.


Metteteci, di vostro, anche un sorriso.

 

 

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[1] L’appellativo di asso è nato per i piloti d’aviazione di guerra, poi è passato agli sport motoristici.
Per essere un asso occorre abbattere almeno cinque velivoli avversari (più che “nemici”), questo perché la stampa francese chiamò “asRené Paul Fonck quando egli abbatté il suo quinto. Parliamo di prima guerra mondiale.
[2] Il record di pole position di Jim Clark: 33, durò per vai lustri, sino a quando, appunto, lo eguagliò e superò Ayrton Senna.

venerdì 26 aprile 2013

MISSIONE COERENZA (variazioni sulle guerre di stile)


MISSIONE COERENZA
(variazioni sulle guerre di stile)

 

 

Ricevo il post che qui di seguito pubblico sempre da EKS, quindi dall’autore (autrice), fra l’altro, di una doppia striscia a fumetti che a breve farà il suo debutto: Vice-Versa.
Le parole in parentesi quadra sono una mia aggiunta chiarificatrice.

 

A titolo di accompagnamento, riporto un passo tratto dal racconto “Il mangiatore di libri”, contenuto nel volume Adoro essere uccisa di Tibor Fscher pubblicato in Italia nel 2003 da Fazi Editore (Roma), l’originale si intitola Don’t Read This Book If You’re Stupid ed è del 2000: “Quella t-shirt non gli piaceva più, la trovava imbarazzante. Bookcruncher con arco disegnato sopra,, nel mezzo i primi due versi del L’Iliade e sotto, in caratteri più piccoli, ‘Dovete avere paura di me’. Il tipo di accessorio di quando sei giovane  e hai voglia di combattere” (pag. 161).

Questo passo mi consente, anche e finalmente, di criticare quella tristanzuola moda di alcuni anni fa di quelli che indossavano delle magliette con passi tratti da opere letterarie le più disparate (fra l’altro lucrando, i fabbricanti di dette t-shirt, sul fatto che le citazioni provenivano da autori ormai non più tutelati dal diritto d’autore e, aggiungo, disinteressandosi anche dei diritti dei traduttori): di oltraggioso in ciò non vi ho mai visto nulla, e la più modesta era quella maglietta portante una citazione di Friedrich Nietzsche a proposito di “stella danzante” perché sembrava cercata con il lanternino nella sconfinata produzione del filosofo (e molto altro) tedesco.

 

 

                                                                                                          Steg

 

 

 

 

MISSIONE COERENZA

 

Ho scoperto di non avere più vent’anni.
O meglio, ho doppiamente vent’anni, ma impiegherò i prossimi venti per abituarmi.
E, come me, molte altre persone anagraficamente oltre i vent’anni non si rendono conto che bisogna adeguare comportamento e apparenza all’età anagrafica.
 
Dopo la seconda guerra, i giovani di allora si ribellarono ai costumi dei padri e si ritagliarono una autonomia di condotta e apparenza.
Per un breve periodo i giovani furono convinti che il mondo sarebbe stato nelle loro mani, che avrebbero avuto voce in capitolo e possibilità di esclusiva espressione.
 
Sono ora passati 60 anni e gli ex giovani (giovani di allora) si sono ripresi il conformismo, rovesciandolo. Gli ex giovani si vestono da giovani allo scopo di continuare la loro missione: fanno bene queste signore di 70 anni a guardare con un occhio al portafoglio e un occhio alla taglia, i capi da H&M, sgomitando con le adolescenti. Hanno vissuto tutta una vita e possono fare quello che vogliono, tanto le adolescenti non arriveranno ad una età tale da poter capire.
Si tratta di proseguire a ribellarsi ai costumi dei padri, e indossare i costumi dei nipoti per poter dare un seguito alla coerenza.
 
La mia fascia d’età corrisponde ai doppi vent’anni, l’età dell’invisibilità:
-        età in cui sei accasata e non cerchi il principe azzurro,
-        sei in faccende affaccendata e non cerchi un passatempo,
-        hai gli armadi pieni e non cerchi un nuovo stile,
-        hai i libri anche sotto il letto e non cerchi un nuovo autore emerso dall’emergenza, hai il cuore già infiltrato a morte e non cerchi una nuova band,
-        hai i cassetti pieni e non cerchi sogni nuovi.
La mia generazione non si è ribellata ai costumi dei padri, alcuni si sono dissociati dai costumi dei propri coetanei, niente più.
E ora tutti noi invisibilmente uniformi e conformi alle aspettative. Tutti zittiti dal trambusto e [dall’]inutile vociare collettivo. Con poco da ricordare del presente, e con uno sforzo costante per poter coltivare una versione ricordabile del passato.

 

 

                                                                                                                      EKS

 

 

 

 

 

© 2013 EKS, Milano, Italia
     © 2013 Steg, Milano, Italia.
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CANI E CANONE (ovvero: ulteriori utilizzi criticabili degli introiti derivanti dal canone RAI)


CANI E CANONE
(ovvero: ulteriori utilizzi criticabili degli introiti derivanti dal canone RAI)

 
Ricevo il post che qui di seguito pubblico dall’autore (autrice), fra l’altro, di una doppia striscia a fumetti che a breve farà il suo debutto: Vice-Versa.

 

Lo scritto potrebbe inaugurare la serie “abbiamo aspettato 40 anni ora basta” (courtesy of Benito Mussolini, non dei Disciplinatha) oppure la serie “qualcuno non dimentica di essersi rotto le scatole e ‘siccome in televisione non si muore di silicosi come malattia professionale i cercatori di talenti potrebbero anche cercarne di veri’”.

 

Sotto un profilo di inquadramento dello scritto: il “ristorantello” è un’osteria non distante dalla Stazione Centrale (ferroviaria) a Milano, la “pittoresca lavorante” pagata per le sue apparizioni in TV è una pensionata imparentata con i titolari del medesimo esercizio commerciale.
Le parole in parentesi quadra sono una mia aggiunta chiarificatrice.

 

Ah, dimenticavo: voi che siete abbonati a Sky e non pagate il canone RAI: davvero pensate che nessuno incroci (o incrocerà mai), appunto, la vostra pay TV con i vostri insoluti verso l’emittente di Stato (di cui magari fruite via internet)? Illusi.

 

 

                                                                                                          Steg

 

 

 

 

CANI E CANONE

 

Sono una contribuente privata del mio diritto di scelta.

 

A cosa il mio sudato contributo viene destinato? Scopro che la mia quota del canone RAI, pagata malvolentieri, è impiegata per remunerare tale “pittoresca lavorante” di noto ristorantello milanese, che nel [mio] lessico familiare è conosciuto come “cane Mario”, nome dovuto al fatto che una sera una coppia di avventori aveva un povero magro cane accucciato sotto il tavolo, e il cane si chiamava Mario.

 

Porco cane. Non Mario, ovviamente.

 

La “pittoresca lavorante” è ospite pagata a trasmissione sportiva “quelli che aspettano…”, mi dicono. Pagata sempre [anche] con la mia quota del canone RAI.

 

Deduco quindi che tutto il teatro di Shakespeare viene buttato nei cessi delle sedi RAI, tutto il trasmissibile teatro gioioso di Moliere e tutta la perfezione classica di Racine mi viene negato per poter remunerare la “pittoresca lavorante”. Io contribuente senza diritto, ma con il dovere di pagare per un servizio pubblico che non mi viene fornito, mi dovrei sorbire la “pittoresca lavorante” di “cane Mario”.

 

Nei miei sogni, vorrei che qualcuno mi spiegasse perché il servizio pubblico è così pubblico e perché io che contribuisco non posso avere un servizio un poco meno pubblico, ma più utile.

 

 

                                                                                                                      EKS

 

 

 

 

 

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giovedì 25 aprile 2013

FINTE SOMIGLIANZE E FALSI IDOLI (Sniper series - 16)


FINTE SOMIGLIANZE E FALSI IDOLI
(Sniper series - 16)
 
Ayrton Senna e Felipe Massa sono entrambi brasiliani (di Sao Paolo).
Enrico Caruso e Luciano Pavarotti sono entrambi italiani ([1]).
 
Al solito: l’uomo fuma, la locomotiva a vapore fuma, ma l’uomo non è una locomotiva.
Lasciamo riposare in pace sia Senna, sia Caruso.
 
 
                                                                                              Top Shooter
 
 
 
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[1] Evidentemente il ragionamento funziona anche con altri grandi personaggi cui si vorrebbero assimilare taluni che li hanno seguiti in uno sport, un’arte o altro.
 

 

 

 

 

 

“PERLE MEDIATICHE”: PERCHÉ


“PERLE MEDIATICHE”: PERCHÉ

 
Certo che a nessuno interesserà, spiego la ragione di questa serie di post: “Perle mediatiche”, che ha una qualche presa fra i miei lettori.
 
Ho avuto dei grandissimi maestri: maestri (fra loro eterogenei in tutto) per cinque minuti in uno scompartimento di treno o per un anno accademico, e per ogni variante temporale e spaziale intermedia entro i due predetti estremi.
Fra loro molti mi hanno insegnato in modo da potere, sapendo, poi semplificare.
 
Ma, appunto, solo con conoscenze certe è possibile apprendere, capire, raccontare e/o insegnare ad altri e – essendo in grado di farlo – andare per semplificazioni in quel raccontare ed insegnare. Una semplificazione può favorire una intuizione e quindi rendere un successivo approfondimento leggero ed entusiasmante: anche se, evidentemente (a mio avviso), con l’aumento della conoscenza di qualsiasi argomento si acquisiscono solo dubbi, non certezze.

 

Ogni frase contenente un dato sbagliato è pertanto duplicemente dannosa ([1]).
Ed allora io devo lottare contro chi crea quello sbaglio per superficialità, superficialità che si manifesta ogni volta in cui il dato esatto esiste, basta cercarlo ([2]).

 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

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[1] Lo è una terza volta quando chi la pronuncia si ammanta di autorevolezza.
[2] Mi piacerebbe se queste righe le leggesse quella studentessa universitaria che, da me esaminata (non ricordo con che esito) aveva con sé un volume di Valerio Massimo Manfredi: un divulgatore, sì, ma preciso.
Il libro è a propos di Alessandro Magno e per lei era una sorta di porto sicuro intellettuale.

PERLE MEDIATICHE 19 – ANCORA A PROPOSITO DI CRITICI MUSICALI


PERLE MEDIATICHE 19 –
ANCORA A PROPOSITO DI CRITICI MUSICALI

 
Canale televisivo: RAI5, programma: Cool Tour, puntata del 24 aprile 2013, vista alle ore 23.51.
 

Vado a memoria e senza commenti salvo per l’eclatante ([1]).
 

Morrissey è dichiaratamente omosessuale”.
Roba da libel (ovvero diffamazione) nel Regno Unito.
 

Assimilazione sotto l’etichetta di “side man” di: Keith Richards, Mick Ronson e Noel Gallagher e Johnny Marr ([2]).
 

Il cofanetto intitolato Complete di The Smiths indicato come contenente anche “inediti”: una copia visibilmente a disposizione del conduttore del programma.
 

L’anteposizione temporale dei Modest Mouse agli Electronic nelle attività di Johnny Marr.
Dimenticando anche Johnny Marr and The Healers: un album all’attivo.
 

Tutta “farina” di Carlo Massarini e dei suoi autori. Pagati attraverso il canone RAI.
Cool? Shivering!

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

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[1] Ero tentato di intitolare questo post “La madre di tutte le ‘perle mediatiche’?”.
[2] A tacere dei loro rispettivi ruoli, o meno, come autori delle opere musicali interpretate.

sabato 20 aprile 2013

I GRANDI (SIC!) ELETTORI (Sniper series - 15)


I GRANDI (SIC!) ELETTORI
(Sniper series - 15)

 

Qualcuno ha votato per la Presidenza della Repubblica Italiana Rocco Siffredi.
L’età minima per essere eletto Presidente è 50 anni, Siffredi non ne ha ancora compiuti 49.
 
Le battute abbinando eligendo (ineleggibile) ed elettori (detti “grandi”) le lascio ai lettori.
Che anche quei voti sciocchi e impossibili li paghiamo noi cittadini lo rammento io.
 

 

                                                                                              Top Shooter

 

 

 

© 2013 Top Shooter
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TOMBSTONE SERIES - 3


TOMBSTONE SERIES - 3

 

Qualche anno fa Romano Prodi dichiarò che lasciava la politica per dedicarsi alla famiglia, in particolare come nonno: “also sprach Zarathustra” ([1]).

 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

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[1] Con licenza e scuse a Friedrich Nietzsche.

lunedì 15 aprile 2013

TORI E MOTORI: IPOCRISIA ITALIANA


TORI E MOTORI: IPOCRISIA ITALIANA
 

Questa volta ([1]) affronto l’argomento corrida da un profilo marginale.
 

Mettiamo il caso che la lirica “Spagna veloce e toro futurista” (del 1931) di Filippo Tommaso Marinetti non sia gradita.
 

Allora passiamo a uno di quei marchi che dovrebbero rappresentare il “made in Italy” e come tale viene trattato con e come vanto nazionale: Lamborghini (o meglio Automobili Lamborghini SpA).
In realtà, questa “casa” automobilistica ([2]) da decenni non è di proprietà italiana, sebbene essa sia sempre basata in Italia quanto a creazione e produzione.

 

Ovviamente, è vietato parlare/scrivere male di Lamborghini, anzi, occorre sempre dirne un gran bene (ricordate quando una o due esemplari di un loro modello furono donate alla polizia stradale italiana? ([3])).

 
Ma cosa succede?
Accade che in Italia chi dice, o scrive, che è contrario all’abolizione della corrida nelle nazioni dove essa è praticata già è trattato come un sanguinario. Figuriamoci quando la stessa persona dichiara che, in effetti, la corrida lo/la appassiona (o anche solo interessa).
E allora?

 

Il marchio figurato di Lamborghini (cioè sia dell’impresa sia dei suoi modelli) è un toro a testa bassa, si dice nella posizione che esso (egli, probabilmente pensano gli amanti della tauromachia) assume caricando per portare il torero ad effettuare una manovra che si chiama tecnicamente “veronica”.
Ora considerate questi nomi: Miura, Urraco, Espada, Jalpa, Murciélago, Gallardo, Reventón, Aventador e, recentissimo, Veneno. Sono tutti termini che rimandano ai tori che combattono nelle plaza (cioè le arene) con i loro avversari umani (ovviamente “espada” è, anche, la spada, in Spagnolo e, un tempo, sinonimo di torero).

 

 

Quindi, gentili appassionati di motori e giornalisti, se siete contrari alla corrida, per favore traetene le conseguenze, vostre, anche rispetto alle automobili Lamborghini e inventatevi una campagna moralizzatrice ed animalista, così che prima o poi nel marchio dal toro si passi al coniglio e – per ragioni aerodinamiche – i modelli abbiano nomi come: Carota, Zucchina, …

 

Coloro, come me, che si augurano non solo che la corrida non sia abolita ma che, anzi, torni dove ora non se ne svolgono più: Barcellona sopra tutte, possono ovviamente continuare a godersi lo spettacolo (esse sono piuttosto costose) anche di queste automobili, leggendarie come certi tori, certe razze di tori e, ovviamente, certi torero.

 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

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[1] Ne ho scritto nel postToros y corridas (‘Di Miura si muore’)”.
[2] Incidentalmente: Marinetti declinava automobile al maschile.
[3] Ricordate anche come, più o meno estemporaneamente, si vociferi di polizia che non ha i soldi per il carburante dei propri mezzi di trasporto?